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La patata – dall’altopiano andino ai rilievi europei

Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto sarebbe cambiata l’intera faccia della Terra.

 

Che cosa hanno in comune quest’aforisma di Blaise Pascal e un gratin di patate?

 

A dire il vero parrebbero non avere proprio nulla in comune; ma che cosa sarebbe cambiato, per esempio, se Edoardo VIII avesse ottenuto dal Papa l’autorizzazione a divorziare da Caterina d’Aragona per sposare Anna Bolena? Ebbene, non ci sarebbe stato nessuno scisma anglicano e di conseguenza nessuna rivolta del Prayer Book nel Devon, cosicché l’agricoltore Edmund Drake sarebbe tranquillamente rimasto nel Devonshire invece di scappare nel Kent con la famiglia e mandare il primogenito Francis a fare l’apprendista dal suo nuovo vicino, capitano di nave.

 

Replica del Golden Hind, il veliero di DrakeFrancis Drake non avrebbe preso gusto all’avventura, né avrebbe ereditato la nave del suo mentore; non avrebbe circumnavigato la Terra (fu il primo a completare il viaggio, Magellano era morto durante la navigazione) e non avrebbe mai portato degli strani tuberi alla regina Elisabetta I (inutile raccontare il resto della storia, basta ricordare che non avrebbe stravinto l’Invincibile Armata, né sarebbe stato fatto cavaliere o diventato ricchissimo grazie alla sua attività di corsaro).

 

E se due secoli più tardi Jean-Baptiste Parmentier, oscuro commerciante in  telerie non fosse stato costretto a mettere la chiave della sua bottega sotto lo zerbino e lasciare che il parroco si occupasse dell’istruzione dei suoi figli l’ultimo di questi, Antoine, non avrebbe imparato il latino e pertanto non  sarebbe diventato speziale, né avrebbe potuto partecipare in tal veste alla Guerra dei Sette Anni; non sarebbe stato fatto prigioniero a più riprese (gli speziali erano indispensabili all’esercito ed erano sempre nel numero dei prigionieri scambiati, cosa che permetteva a Parmentier di tornarsene a casa per ripartirne immediatamente e farsi riprendere prigioniero, più e più volte). Se non fosse stato fatto prigioniero non avrebbe mangiato la sbobba a base di patate di cui i prigionieri venivano nutriti, non avrebbe visto le piante e non avrebbe potuto riflettere all’uso che si sarebbe potuto fare del prodotto.

Benché Sir Francis Drake fosse ritornato con il tubero e prima di lui i Conquistadores l’avessero fatto conoscere in Spagna, fino a Parmentier (Antoine) il suo successo era stato scarso, poiché la gente preferiva di gran lunga il topinambur che era arrivato nello stesso momento. La patata veniva considerata a volte una pianta medicinale ed altre volte un veleno (ancora nel 1848 era accusata di causare la lebbra!), e nulla lasciava a presagire il successo che avrebbe avuto più tardi.

 

Coltivata nelle Ande dalla fine dell’ultima era glaciale, circa 10.000 anni fa, sono stati trovati in grotte abitate esemplari ben più antichi di una varietà selvatica. Verso la metà del II secolo AC gli abitanti della regione dell’Altiplano, attorno al lago Titicaca, scoprirono poi come riuscire a limitare le sostanze tossiche come la solanina, che protegge il tubero dal gelo, facendone così un alimento di base nelle aree in cui non era possibile coltivare il mais.

 

Ancora oggi i Quechua continuano ad utilizzare lo stesso processo, il cui risultato prende il nome di chuño: i tuberi vengono essiccati esponendoli alternativamente al sole ed al gelo e possono così conservarsi per molto tempo, anche per anni. In questo modo è perfino possibile rendere commestibili le patate amare, le uniche coltivabili ad alta quota grazie alla loro resistenza al gelo, che però non possono essere consumate fresche a causa dell’elevato tenore in alcaloidi tossici.

 

Ma nel frattempo che cosa succede alla patata nel vecchio continente?

Non si può dire che al principio abbia avuto un gran successo: la si apprezza per le sue virtù curative – dicono infatti che possa guarire certe infiammazioni, l’eczema, le scottature ed i calcoli renali – ma ciononostante non viene ritenuta adatta al consumo umano. In Spagna la definiscono «insulsa, flatulenta, indigesta, debilitante y malsana, sólo adecuada al engorde cerdos» («insapore, flatulenta, indigesta, debilitante e malsana, adatta soltanto ad ingrassare i maiali).

 

Fiori di patata

A quei tempi la patata è ancora chiamata con il suo nome originale, papa. Il botanico fiammingo Carolus Clusius, che fu il primo a parlarne scientificamente nel suo trattato Rariorum plantarum historia la chiama Papas peruanorum, ma in Spagna, dove se ne è diffuso l’uso medicinale, si è incominciato a chiamarla patata da quando il re Filippo II ne ha inviato alcuni tuberi al papa Pio IV  che soffre di malaria, e che non si intende urtare con un nome inappropriato.  Se la patata avesse potuto guarirlo forse oggi si potrebbe consumarla soltanto con la ricetta medica; ma il Papa muore ed il tubero, apprezzato per la bella fioritura, finisce nei giardini vaticani.  Da Roma si diffonde nel resto della penisola, poi in Svizzera; viene chiamato terrae tubera, taratufolitartifle in Valle d’Aosta e in Savoia (da cui deriva la tartiflette) mentre in altre zone i contadini che la coltivano incominciano a definirla con il nome spagnolo, patata. Una variante di tartufoli darà origine al nome tedesco, Kartoffel, che si diffonderà in diversi paesi dell’Europa orientale grazie a guerre ed alleanze, diventando  cartof in rumeno e kartofel in russo e bulgaro.

 

Federico II di Prussia detto il GrandeLa si ritrova anche sulla tavola del Papa, come dimostrano le ricette riportate nel trattato di cucina pubblicato nel 1573 dal cuoco papale Bartolomeo Scappi, Opera dell’arte del cucinare; le sue proprietà alimentari sono tuttavia maggiormente apprezzate dapprima in Svizzera, poi in Germania. Rendendosi conto del potenziale offerto dalla patata in caso di carestia il re di Prussia Federico II il Grande emana nel 1756, all’inizio della Guerra dei Sette Anni, un editto che ordina di coltivarla.

 

E così torniamo ad Antoine Parmentier e ai suoi va e vieni tra la Francia e la Germania.

 

Durante la sua prigionia in Westfalia ha avuto occasione di apprezzare le patate come modo di rimediare alle carestie ed ha imparato a coltivarle; al suo ritorno prende a parlarne con entusiasmo, convincendo anche il re. Persuadere la gente è però un altro paio di maniche; Parmentier dovrà ricorrere ad uno stratagemma perché la popolazione incominci a consumarle  in grandi quantità.

 

Ecco che cosa escogita:

 

Nel 1786 Parmentier fa sorvegliare durante il giorno i campi di patate che ha piantato nei dintorni di Parigi, su terreni messi a disposizione dell’Accademia di Agricoltura dal re; in questo modo il popolo pensa che si tratti di una coltura riservata ai nobili e ne ruba i tuberi durante la notte, quando le guardie sono assenti,  e li diffonde in tutto il bacino della Senna. La Rivoluzione si incaricherà di completare l’opera.

 

La patata non ha più bisogno di propaganda: ormai forma la base dell’alimentazione di gran parte dei paesi del mondo e la sua coltivazione è sempre più diffusa e sostituisce tutte le altre, diventando una monocultura che è una vera e propria bomba ad orologeria destinata a scoppiare in Irlanda tra il 1845 ed il 1851 quando la peronospora distrugge i nove decimi dei raccolti, provocando la Grande Carestia irlandese che è all’origine di un’emigrazione di massa verso il Nuovo Mondo. Quarant’anni più tardi il botanico francese Alexis Millardet, trova finalmente rimedio ai danni causati da questa temibile malattia che annienta, oltre alle patate, anche le viti europee: la poltiglia bordolese, usata ancora ai nostri giorni.

 

Insomma, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto forse Kennedy non sarebbe entrato alla Casa Bianca…