Parigi, 1892. Nello studio di Gustave Moreau un pittore rumeno, il ventunenne Theodor Pallady, incontra un giovane collega francese poco più vecchio di lui: Henri Matisse. E’ l’inizio di un’amicizia grande e solida che li unirà per tutta la vita.
Qualche anno dopo Pallady regala all’amico qualche «Ii», le camicette rumene tradizionali nobilitate dalla regina Maria di Romania e dalle sue figlie. Affascinato dalla sensualità delle forme e dalla bellezza dei ricami Matisse incomincia a farle indossare alle sue modelle, a disegnarle ed infine a dipingerle. Il 5 ottobre 1939, meno di un mese dopo l’entrata in guerra, inizia un percorso di semplificazione dell’immagine che renderà la camicetta l’elemento centrale della sua pittura e risulterà sei mesi dopo, il 9 aprile 1940, in una delle sue opere più note: La Blouse Roumaine (La Camicetta Rumena). Dipinta tra Parigi e Nizza, l’opera, regalata dall’artista allo Stato francese nel 1953, è oggi esposta al Centro Pompidou.
E’ in un museo della capitale francese che l’ha indubbiamente vista Yves Saint-Laurent, che se ne è ispirato per la collezione di alta moda autunno/inverno 1981, intitolata – indovinate – «La blouse roumaine»… Il suo esempio sarà seguito da altri stilisti, come Kenzo, Jean-Paul Gaultier, Oscar de la Renta e Tom Ford.
Oggi considerata, fuori dalle frontiere nazionali, come un elemento folcloristico e spesso confusa con le sue omologhe ungheresi o polacche, ha tuttavia alle spalle una storia che risale alla notte dei tempi, anche prima della civiltà dacica. Alcuni storici pensano che fosse già utilizzata ai tempi della cultura di Cucuteni-Trypillian, cioè in un’epoca compresa tra il 5500 ed il 2750 AC. Come si può dedurre dai bassorilievi della Colonna Traiana a Roma e del Tropaeum Traiani di Adamclisi, dove i guerrieri di Decebalo sono raffigurati vestiti di una sorta di tunica lunga ed ampia, serrata in vita da una cintura e portata su brache strette, è da tempo immemore la base dell’abbigliamento dei Traci, Geto-Daci e Daci, ossia degli antenati dei Rumeni.
La camicia rumena, infatti, è una tunica costituita da tre semplici rettangoli – uno per il dorso e due per il davanti – oltre a maniche dritte che ne fanno un «t-shirt» ante litteram. Per facilitare i movimenti delle braccia sono stati inseriti nel tempo piccoli pezzi di tessuto sotto le ascelle. Lo scollo è semplice, raso collo, a volta con un colletto ricamato «alla coreana». La stoffa – lana, lino o canapa, più tardi anche cotone – è tessuta in casa e assemblata con punti semplici ma resistenti, a volte incrociati come il punto mosca, embrioni dei futuri ricami.
E’ una camicia da lavoro, con un’ornamentazione ridotta al minimo. Nei giorni di festa, invece, le donne indossano quell’altra camicetta rumena più nota, che ha spesso maniche raglan e lo scollo arricciato da un cordoncino, tagliata in un tessuto più leggero e finemente ricamata. Per gli uomini, al contrario, la camicia ha sempre lo stesso taglio ma quella della festa è ricamata.
Il fatto è che il ricamo è onnipresente in Romania. Lo si ritrova sulle cinture e le gonnelle, sui grembiuli, sui giacchini ed i copricapi. Per chi è capace di interpretarlo rivela poi molto dello status e dell’origine di colui – e soprattutto di colei – che lo indossa.
Certe località sono caratterizzate da disegni multicolore o bicolore, altre invece si limitano ad un’unica tinta, come per esempio Sibiu, dove i ricami sono sempre neri su fondo bianco (Tom Ford si è ispirato a questi motivi raffinati in bianco e nero per la sua collezione 2012).
In sottile tela di lino (oggi di cotone) riccamente ricamata a Nord, spesso in seta e meno decorata a Sud la camicetta della domenica espone i suoi ornamenti nei punti in cui è meno facile rovinarli – la parte bassa delle spalle, le maniche esterne, il petto.
I colori possono a volte rivelare l’età di chi la indossa: une ragazza o una giovane donna porteranno più facilmente colori vivaci come il rosso, il blu o il giallo, mentre una signora più matura preferirà il nero, il marrone, il verde scuro o il viola. Se ne può anche dedurre l’origine: in una regione ricca di corsi d’acqua si ha spesso una predominanza di azzurro e argento, in un’area rurale molto verde, in una zona montana più marrone…
Anche i disegni sono rivelatori: nei villaggi di vignaioli si troveranno foglie e pampini di vite, a volte anche grappoli d’uva; nei villaggi di pescatori la faranno da padrone i pesci. Le linee verticali rivelano la volontà di seguire la retta via e di migliorare la propria esistenza, i cerchi sono il simbolo del sole senza il quale non potrebbe esserci vita. Nelle aree di montagna si vedono pigne e rami di abete, mentre in pianura la preferenza va alle rose, ai tulipani, agli iris.
Meno figurativi e più stilizzati di quelli dei vicini del Nord (ungheresi, ucraini, polacchi) i ricami rumeni non si limitano ad ornare gli abiti, ma anche i tessili per la casa, in particolare i panni lunghi e stretti che si vedono drappeggiati attorno agli oggetti di culto ed ai piatti che decorano le pareti.
Benché, permettendogli di accedere ai mercati internazionali, la mondializzazione del gusto abbia colpito anche il popolo rumeno, questo riesce peraltro ancora a coniugare i mobili svedesi con gli oggetti tradizionali della sua patria. In qualsiasi angolo del globo la casa di un rumeno si riconosce da un’icona circondata da un panno, da un tappeto, da un cuscino, da un piatto dalla decorazione inconfondibile. Sono anche convinta che qualsiasi rumena che si rispetti conserva religiosamente nell’armadio almeno una camicetta preziosamente ornata dei magnifici ricami del suo paese.