Il giardino cintato, o hortus conclusus, è un terreno circondato da mura destinate a proteggerlo dagli sguardi, noto in particolare nella sua versione medievale nobile o monastica. Pieno di fiori o di piante medicinali, nel corso dei secoli è andato a circondare le case parrocchiali e le case dei pensionati dove in molti casi ha perso le barriere esterne avvicinandosi ai cottage garden dei nostri vicini del nord.
Ci sono però giardini che non possono essere altro che cintati: sono quelli delle case che troviamo nel Benelux (e dintorni) o in Inghilterra, cioè negli edifici urbani alti e stretti che spesso hanno sul retro un piccolo terreno separato dai vicini da alti muri.
Sistemarlo non è facile, tanto in gnere è lungo e stretto (a volte anche molto stretto considerando che certe case hanno una facciata di soli 3 metri!), soprattutto se vi si vuole far coabitare un giardino ornamentale, un orto, uno spazio dove possano giocare i bambini e correre i cani…
Considerando la superficie ridotta si può pensare di fare a meno di un giardiniere, tanto è facile la manutenzione. E lo sarebbe, effettivamente, se…
… se la meteo collaborasse mettendo a disposizione giornate né troppo calde, né troppo fredde, né troppo ventilate nei momenti in cui si ha la possibilià di dedicarsi al giardinaggio, e se la pioggia arrivasse al momento giusto e nella giusta quantità:
… se si fosse sempre presenti o almeno se qualcuno si facesse carico di un minimo di manutenzione in caso di assenza.
Non è il mio caso.
Così tra i capricci del clima e l’assenza di manutenzione l’hortus conclusus dell’ala Nord è andato a farsi benedire e ci vorrà tempo per risistemarlo.
Non è la prima volta, d’altra parte. Venticinque anni fa era una specie di prateria spelacchiata che si perdeva in un boschtto di sambuchi. Lungo un lato correva un sentiero quasi sempre fangoso.
Dopo i lavori di ristrutturazione la prateria era scomparsa sotto le macerie che la neve aveva trasformato in montagne dalle cui cime il giovin signore si lanciava con la slitta.
In primavera le macerie erano state portate via ed avevo incominciato a rivoltare un po’ di terra per piazzarvi qualche rotolo d’erba dedicato a tirar di pallone.
A poco a poco i sambuchi avevano ceduto il posto a qualche nocciolo ed il prato si era spostato un po’ più in là. Vi si accedeva da un passaggio tra due aiuole chiuse da cespugli di pungitopo che in stagione ci servivano da alberi di Natale. Non molto usato per giocare, vi avevo piazzato un tavolo e qualche sedia e un parasole per ombreggiare. Erano poi arrivati rose e camelie, un albero di Giuda, un lillà, un paio di rododendri, un alloro e perfino tre meli a spalliera (avevo anche tentato anche di coltivare qualche insalata ma non avevo avuto successo).
Le assenze intanto si moltiplicavano, ed erano sempre più prolungate. Ormai completamente anarchico ed invivibile, qualche anno fa avevamo chiesto l’aiuto di un paesaggista, incaricato di creare una parte facile da mantenere per gli umani separata da quella accessibile agli animali e, in generale, di fare un giardino più moderno per gli adulti che ormai tutti eravamo.
Aveva inventato un recinto nel recinto, sorta di grande terrazza chiusa da reti abbinate ad una siepe di tassi (l’idea dei tassi non mi piaceva molto visto che le bacche sono tossiche; però contavo di avere alcuni anni davanti prima che le manine degli eventuali nipotini ne riempissero le bocche causando epici mal di pancia). Ai due lati dello spazio destinato al barbecue erano stati piantati due carpini e l’angolo destinato al riposo, separato da grandi rosai bianchi ad alberello, era circondato da erbe aromatiche. Il resto del terreno era più selvaggio (potrebbe essere definito all’inglese).
Era veramente bello. Peccato che le circostanze della vita mi abbiano obbligata ad assenze troppo lunghe e che al giovane castellano il giardino non interessasse affatto. Sette anni dopo il tasso è cresciuto in modo anarchico, seccando alla base come spesso succede alle conifere, e chiude la vista sul resto del giardino; uno dei carpini si è subito seccato ed è stato tagliato, l’altro si è allargato a dismisura; i meli, liberi di espandersi come volevano, hanno bloccato il passaggio; le aromatiche sono morte. I cani hanno scavato buche immani (si direbbe che cerchino di evadere verso la Nuova Zelanda!) tutt’attorno alla terrazza, coprendola di terra. Le talee di bosso piantate nella parte posteriore del terreno in attesa di farne bordure hanno colonizzato l’intero terreno.
Insomma: un disastro, anche se dei tentativi di sistemare un po’ la siepe hanno fatto riemergere un rosaio Belle de Ronsard che i tassi avevano inghiottito.
L’arrivo di una nuova generazione ha modificato gli equilibri, cosicché passerò più tempo a Nord – questo rende necessario diprendere il controllo del giardino.
Come prima cosa occorre fare un progetto di massima e stabilire un piano di battaglia. Quel che è certo è che i tassi devono andarsene e che al loro posto metterò, forse, delle aiuole rialzate (gli anni passano anche per me). Vi terrò al corrente.
2 risposte su “Hortus conclusus”
le nuove generazioni costringono a molti ripensamenti e aggiustamenti di rotta, e in fondo è la maniera migliore per mantenerci ggggiovani. Anche l’hortus conclusus ne avrà giovanento
Vero. Mica si può lasciare la nuova generazione in preda ai pericoli (mica soltanto i tassi!).