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Fare spazio

Molto tempo fa, in una cucina nuova nuova che avrebbe dovuto essere definitiva, dopo un’altra cucina in un appartamento in affitto dove si era vissuti benissimo con la metà delle cose contenute negli scatoloni.

Finalmente si sarebbero potute tirare fuori le cose dell’Uno e dell’Altra, entrambi reduci da lunghi anni passati in continenti diversi.

Europa.

America.

L’eccitazione di poter finalmente usare il frullatore ed il tostapane americani, per i quali l’Uno aveva fatto fare l’indispensabile trasformatore (il cui costo era risultato largamente superiore a quello di un frullatore e di un tostapane di pari qualità acquistati sul posto) e l’Altra aveva messo a disposizione il suo carrello. I piatti sconosciuti. I bei bicchieri della Nonna. Il trituratore.

L’apriscatole elettrico.

Adeguatamente fissato alla parete sopra il carrello (visto che occorreva il trasformatore anche per lui, che veniva, come i compagni, da Oltre Atlantico), quest’ultimo era oggetto di considerazioni perplesse da parte dell’Altra, cuoca appassionata.

In-di-spen-sa-bi-le, sosteneva l’Uno.

Avanzamento rapido, molti anni dopo.

La cucina definitiva smette di essere tale ed è sostituita da altre due.

Frullatore, trituratore, tostapane tornano negli scatoloni … a far compagnia all’apriscatole elettrico in-di-spen-sa-bi-le, che in tutto questo tempo è stato usato un’unica volta a titolo dimostrativo .

Infatti se è vero che le scatolette entrano perfino nelle cucine dei cuochi appassionati è altrettanto vero che oggi difficilmente se ne trovano si sprovviste di apertura facilitata, con cui per aprirle basta tirare una linguetta.

Per le pochissime che non ce l’hanno, o per quelle in cui la linguetta si rompe provocando il panico nell’Uno o nell’Altra che cercano di aprirla, è più che sufficiente un apriscatole manuale (che è anche più facile da pulire).

L’apriscatole elettrico va quindi a tenere compagnia allo spiralizzatore manuale comprato alla fiera eppure sembrava un’idea così carina!), al coltello per tagliare a fettine sottili il formaggio danese  (introvabile) – teoricamente in-di-spen-sa-bi-le per la colazione nordica che l’Uno e l’Altra hanno smesso di fare da tempo immemore e ad altri accessori che si accumulano in fondo agli armadi.

Da questi stessi armadi escono di tanto in tanto l’accessorio spremiagrumi del robot da cucina, la centrifuga, perfino la gelatiera. Gli si fa fare un giro, cercando di ricordare come funzionano, li si pulisce (ma com’è complicato!) e li si ripone nel dimenticatoio.

L’avrete capito: state leggendo una nuova versione del quesito “che cosa portereste con voi su un’isola deserta”. O, se preferite vederlo sotto un altro punto di vista: come fare spazio in casa.

Senza spingersi agli estremi di  Marie Kondo,  è ben vero che liberarsi di tutti i  gadget che ci riempiono gli armadi permette di guadagnare un sacco di spazio.

Prendiamoci il tempo di pensare a quello che effettivamente usiamo e – soprattutto – a quello che non usiamo affatto, o non usiamo più. I regali di nozze che non sono mai serviti a nulla, i ricordi e souvenir dimenticati, le cose recuperate “perché un giorno potrebbero tornare utili” occupano  spazio prezioso nelle abitazioni la cui superficie non fa che ridursi.

Siamo sinceri: la gelatiera elettrica che occupa mezzo scaffale l’abbiamo usata una volta in vent’anni: a che cosa serve tenerla? E gli stivali e il cap comprati per nostra figlia che a otto anni voleva andare a cavallo come la sua amica, prima di scoprire che aveva una paura nera di quei quadrupedi?

Un giorno un conoscente mi aveva raccontato di aver ereditato il castello dei genitori, una grossa costruzione fine Ottocento in cui aveva passato molte estati in compagnia di cugini e cugine.  Cittadino, raffinato collezionista e grande viaggiatore, non gli servivano né il contenuto – piuttosto rustico – né il contenitore. Così aveva venduto tutto e con il ricavato si era comprato un oggetto – meraviglioso e preziosissimo – che da tempo desiderava acquistare.

Ne aveva fatto il suo castello di famiglia– un esempio da imitare!

E, nell’attesa, incominciamo ad eliminare

  1. quello che non abbiamo più usato da tempo o che usiamo soltanto se ce ne ricordiamo, e ancora ;
  2. gli apparecchi elettrici che richiedono più tempo a pulirli di quanto ci voglia per usare uno strumento manuale che ci permette di ottenere lo stesso risultato ;
  3. i ricordi dimenticati, anche se evocano una persona cara (le fotografie ci sono proprio per questo);
  4. gli apparecchi rotti per i quali non esistono più le parti di ricambio, o che si basano su tecnologie obsolete, come i televisori vecchi;
  5. i consumabili e le parti di ricambio orfani dei relativi apparecchi, come i floppy che servivano 6 o 7 generazioni di computer fa o le pellicole fotografiche scadute;
  6. i regali e i gadget che all’epoca ci parevano tanto divertenti e che oggi non ci piacciono più;
  7. i vecchi dizionari, i libri che non rileggeremo  più, i ritagli di stampa in attesa di essere catalogati e sistemati  e che non lo saranno mai;
  8. i vestiti fuori moda, troppo piccoli, troppo stretti, perché non indosseremo più neppure loro;
  9. tutto ciò che ha superato la data di scadenza;
  10. i doppioni inutili

– last but not least – quello che non ci piace (Marie Kondo direbbe: che non ci fa battere il cuore).

2 risposte su “Fare spazio”

tutto verissimo e condivisibile, ma mi spezzerebbe il cuore portare in discarica oggetti come il vecchio giradischi Braun neppure stereofonico, o il televisore arancione che non sa che adesso le trasmissioni sono a colori, o il tecnigrafo che mi ruba una quantità enorme di spazio ma gli voglio tanto bene. Lascerò che questa faccenda se la sbrighi la discendenza

Ricordo con orrore quando la discendenza ero io, e quando, a differenza dell’ascendenza – che quando era a sua volta discendenza si era limitata a spostare qualche oggetto in una stanza poco usata, come d’altra parte la sua ascendenza quando era discendenza – è stato necessario svuotare la casa. Ed anche le ondate successive di cose arrivate dalla razionalizzazione delle case. Ed ora che mi si prospetta un nuovo trasloco sarà mia cura fare in modo che la nuova casa sia zen, minimalista, epurata – insomma, che almeno per qualche tempo si possa evitare di fare speleologia 24 ore su 24.
La mia discendenza forse non se ne renderà conto, ma almeno limiterà le sue stramaledizioni.

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