Avrà fatto caldo quel 14 luglio 1905, mentre il treno entrava nella Gare de l’Est di Parigi. Constantin Brancusi, indebolito da una polmonite che l’aveva inchiodato a un letto dell’ospedale di Lunéville per diversi giorni, aveva deciso di concludere in ferrovia il viaggio incominciato oltre un anno prima, a piedi, in un momento di rabbia.
Non che non intendesse andare a Parigi – anzi! Per finanziarsi il viaggio ha perfino accettato una commessa delle autorità di Bucarest: il busto di un generale medico che a tutt’oggi resta l’unico suo monumento pubblico nella capitale rumena.
Le cose però non erano andate come dovevano. Mentre metà dell’opera era stata pagata in anticipo, il saldo era stato oggetto di un’animata discussione tra i membri del consiglio, ad alcuni dei quali non piaceva il naso del generale. Irritato, Brancusi abbandona allora la sala consigliare e si mette in marcia, a piedi, fino a Vienna.
A Vienna si ferma per un po’ di tempo, lavorando per un mobiliere ed approfittando del suo soggiorno per visitare i musei. Si sposta poi a Monaco da dove, sei mesi dopo, parte per Parigi.
Dopo aver camminato attraverso la Baviera e la Svizzera l’artista entra in Francia. Sorpreso da piogge torrenziali tra Langres e Lunéville, si ammala di polmonite infettiva e fatica a riprendersi.
Supera le prove d’ammissione alla prestigiosa Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti e segue le lezioni di Antonin Mercié, nel suo studio. L’anno seguente, tuttavia, è costretto a lasciare la scuola per raggiunti limiti di età.
Constantin Brancusi ha all’epoca trent’anni. Nato nel 1876 alle pendici dei Carpazi, è il sesto figlio di una famiglia modesta. Dopo qualche anno di scuola eccolo apprendista a Craiova: panettiere, commesso, cameriere di ristorante, si fa notare per aver costruito un violino con dei materiali di recupero. La sua abilità manuale gli frutta una borsa di studio presso la Scuola di Arti e Mestieri.
Ottenuto il diploma parte per Bucarest, s’iscrive all’accademia di Belle Arti ed ottiene diversi riconoscimenti.
Dopo aver lasciato lo studio di Antonin Mercié rifiuta di lavorare con Auguste Rodin con una frase diventata famosa: “Nulla cresce all’ombra dei grandi alberi”.
Nel 1906 Brancusi espone le sue prime opere al Salone d’Autunno; continuerà a partecipare a mostre collettive a Parigi ed a Bucarest fino al 1914.
Le sue sono sculture innovative, sempre più lontane dalla scultura figurativa.
Nel folklore dei Carpazi meridionali, quando un uomo sposato muore a fianco della tomba viene eretto un palo di legno culminante con un uccello: è la maiastra, che farà sì che l’anima non si reincarni in un animale terrestre, aiutandola a salire al Cielo. Brancusi scolpisce la sua prima Maiastra nel 1910: una cariatide che rappresenta una coppia abbracciata su uno zoccolo quadrato sostiene un cubo sul quale si trova un uccello stilizzato con la testa protesa verso il Cielo (MoMa, NYC).
Brancusi è ormai famoso. Sostiene che “Il tema e la forma sono imposti dalla struttura intrinseca del materiale; entrambi devono scaturire dalla materia e non esserle ingiunti dall’esterno”; la sua scultura si fa sempre più lineare ed allungata. Ritiene che le sue opere debbano integrarsi nello spazio espositivo con cui formano un complesso imprescindibile. Infatti, proprio vedendo le fotografie delle sue opere, mal sistemate e senz’anima in occasione di una mostra a New York alla quale non ha potuto presenziare, l’artista decide che è il suo studio lo spazio privilegiato per l’elaborazione e la percezione delle sue sculture.
Nel 1951 offre quindi allo Stato rumeno di lasciargli in eredità il suo studio e le circa 200 opere che contiene. Il governo, tuttavia, rifiuta sostenendo che lo scultore è un rappresentante della borghesia decadente. L’eredità va dunque alla Francia, che incarica l’architetto italiano Renzo Piano di integrare il complesso nel Centre Pompidou.
Di Brancusi, oltre alla scultura che avrebbe dovuto finanziargli il viaggio, resta in Romania il complesso monumentale di Tîrgu Jiu chiamato “Viale degli Eroi” realizzato alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale in omaggio ai caduti della Grande Guerra. Ne fanno parte il Tavolo del Silenzio, grande tavolo rotondo circondato da sgabelli a forma di clessidra (il tempo che scorre), che simbolizza l’ultimo pasto dei soldati prima di cadere in battaglia, poi, dopo un viale fiancheggiato da sgabelli, la Porta del Bacio, arco in travertino che raffigura il passaggio tra la vita e la morte, e la Colonna senza Fine, “axis mundi” che sostiene la volta celeste collegando la Terra al Cielo.
Morto a Parigi nel 1957 e sepolto nel cimitero di Montparnasse – non lontano da Tatiana Rashewskaia, la giovane russa che si era uccisa per amore e per la cui tomba aveva creato nel 1909 una delle sue prime sculture intitolata “Il Bacio” – Constantin Brancusi ha influenzato il mondo dell’arte in molti modi, spingendo l’astrazione scultorea ad un livello mai raggiunto nella tradizione modernista e spianando la strada alla scultura surrealista ed alla corrente minimalista degli anni Sessanta.
Attraverso il processo rivoluzionario che intenta nel 1927 agli Stati Uniti che tassano l’importazione delle sue opere al 40%, considerandole non forme d’arte, ma materiali grezzi – e che vince l’anno seguente – Constantin Brancusi ridefinisce lo stesso concetto di arte, che evolve così dalla rappresentazione della realtà a quella di un’idea astratta.