Che cosa possono avere in comune un fauno impudico, un Papa determinato, un poeta del Trecento e i soldati americani?
Un indizio: non è una barzelletta.
La storia incomincia nella Roma imperiale. Verso la fine dell’inverno i lupi si avvicinano pericolosamente agli ovili che circondano la città in cerca di cibo. La popolazione, terrorizzata, sacrifica allora qualche ariete e qualche cane a Luperco, vago dio rurale poi identificato con Pan, perché faccia arrivare la primavera e allontani le fiere. Con le pelli degli animali sacrificati si preparano delle fruste con cui alcuni giovani in vesti discinte colpiscono le matrone (piuttosto consenzienti) che hanno inseguito nei boschi.
Lasciandosi frustare le romane, infatti, pensano di aumentare le loro possibilità di garantire una discendenza ai loro mariti
Tutto ciò si celebra allegramente tra 13 ed il 15 febbraio, annaffiato da copiose quantità di vino come è d’uso nella capitale dell’Impero.
All’arrivo del Cristianesimo, quando i papi successivi cercano di mettere ordine nella pletora di feste pagane, i Lupercali, considerati tutto sommato abbastanza innocenti, resistono ancora per un po’. A tirare loro il collo penserà alla fine del V Secolo il papa Gelasio I che li sostituirà con festeggiamenti in onore di due santi oscuri martirizzati il 14 febbraio : Valentino da Terni e Valentino da Roma – che probabilmente sono poi la stessa persona. Si narra che il primo sia stato decapitato a 97 anni perché aveva disobbedito al divieto di celebrare matrimoni tra donne romane ed i soldati che stavano per partire in guerra, facendo così infuriare l’imperatore Claudio il Gotico, e che il secondo avesse subito il martirio perché, sebbene fosse stato affidato alla custodia di un patrizio affinché smettesse di predicare, aveva continuato a farlo e perfino fatto ritrovare la vista alla figlia del suo carceriere, alla quale alla fine aveva anche lasciato un biglietto d’addio firmandosi “il tuo Valentino”.
Sono ritenuti protettori dei giovani, degli apicoltori, della verginità prenuziale, garanti di un fidanzamento e di un matrimonio felice e perfino capaci di tenere lontane la follia, l’epilessia e la peste.
La storia di San Valentino è incominciata, ma bisognerà aspettare il poeta inglese Geoffrey Chaucher (1340-1400 circa) ed il suo Parlamento degli Uccelli per trovare il primo poema che possa essere ufficialmente collegato alla festa. Egli vi celebra la rinascita della primavera, simbolizzata dalla ricerca, da parte degli essere viventi – in questo caso gli uccelli – di un compagno con cui costruire il nido ed assicurarsi una discendenza.
A quei tempi, la sera prima della festa o addirittura la mattina stessa, gli inglesi hanno la consuetudine di formare coppie di giovani che si scambiano biglietti o regalini. L’uso s’imbarca sul Mayflower insieme ai Padri Fondatori, cresce e si amplifica nel fertile terreno d’Oltreoceano per poi ritornare in Europa con i vincitori della II Guerra Mondiale insieme ai jeans ed al jazz (ed alla pennicillina).
Dalla Germania occupata dalle forze alleate la festa di San Valentino – sempre più commerciale – si diffonde nel resto dell’Europa e nel mondo, suscitando reazioni diverse e a volte contrarie: in Arabia Saudita, per esempio, è semplicemente vietata ed è proibito vendere qualsiasi cosa la ricordi, come dolci a forma di cuore o rose rosse. Il Giappone offre l’occasione di regalare cioccolatini all’uomo dei propri sogni che, un mese dopo (se ha gradito) ricambierà con un regalo impeccabilmente bianco in occasione del White Day. Per i single o gli innamorati respinti hanno perfino inventato un successivo Black Day in cui è tradizione mangiare noodles e fagioli neri.
Nei Carpazi la festa della primavera era celebrata una decina di giorni più tardi. Dopo un periodo di oblio, negli ultimi giorni sembra riaffacciarsi, sebbene non sia certo che i giovani americanizzati ne conoscano ancora il vero significato.
Narra la leggenda che l’imperatore Traiano fosse rimasto folgorato dalla bellezza di Dochia (o Eudochia, o Odochia), figlia del re dei Daci Decebalo, impegnato a lottare contro l’invasione romana. La giovane fuggì a Nord con le sue greggi, rifugiandosi sul monte Ceahlau. Molti anni dopo suo figlio Dragobete (o Dragomir) che era bello quanto Apollo ed Eros insieme prese moglie all’insaputa della madre. Si era alla fine dell’inverno. Furiosa, la vecchia Dochia diede alla nuora un gomitolo di lana nero di sporcizia, ingiungendole di lavarlo nel fiume gelato e di non tornare finché non fosse nuovamente immacolato.
La giovane sposa strofinò tanto a lungo nell’acqua gelata da avere le mani in sangue, ma la lana continuava a non ridiventare bianca. Vedendola disperata, Gesù le comparve davanti e le diede un fiore rosso, dicendole di servirsene per sbiancare il gomitolo; infatti avvenne il miracolo e nelle sue mani la lana si fece candida come la neve che copriva il paesaggio.

Baba Dochia credette che Gesù fosse in realtà un amante che aveva offerto alla nuora un fiore sbocciato nei campi; se nei campi c’erano i fiori era quindi giunto il momento di portare le pecore al pascolo. Invece era ancora inverno e il gelo ammantava ogni cosa anche se Dochia non lo sentiva per lo sforzo del cammino; così, dopo essersi sbarazzata dei suoi dodici mantelli, morì di freddo e fu trasformata in pietra insieme alle greggi.
La leggenda non dice se Dragobete e la sua sposa vissero felici ed ebbero molti figli come in qualsiasi fiaba che si rispetti. Quel che è certo è che il suo nome è rimasto nella memoria delle popolazioni carpatiche per indicare il momento in cui la natura incomincia a risvegliarsi, gli animali si scelgono un compagno e gli uccelli costruiscono il nido. Come loro, anche gli esseri umani cercano la loro anima gemella.
Alla festa di Dragobete i ragazzi andavano nei campi alla ricerca di fiori da regalare alle ragazze del villaggio che li seguivano da lontano. Vedendoli correre verso di loro con il loro raccolto queste fuggivano verso le loro case con più o meno convinzione, a seconda della loro inclinazione per il giovane che le inseguiva. I ragazzi che riuscivano a raggiungere la loro bella la baciavano e, se lei era d’accordo, il fidanzamento veniva annunciato al villaggio ed alle famiglie. Tutti i giovani che partecipavano all’evento potevano aspettarsi di trovare l’anima gemella entro l’anno, mentre gli altri erano destinati a rimanere single fino all’anno successivo.
La festa di Dragobete, come quella di San Valentino prima dell’avvento della società dei consumi, erano ben diverse dalla celebrazione della coppia come l’intendiamo adesso. Celebravano invece il ritorno della primavera, la vita che ricomincia e la continuità della specie.
