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Il terril – la montagna del nord carbonifero

Aberfan

Il 21 ottobre 1966 Aberfan, una cittadina carbonifera del Galles, incomincia la giornata come al solito: i minatori si preparano a scendere nei pozzi, i commercianti aprono i negozi, i bambini si preparano ad andare a scuola per l’ultima mattina di lezione prima delle vacanze d’autunno. Il tempo è pessimo, piogge forti flagellano la regione da tre settimane. Ad un tratto la cima della montagnola di scorie n° 7 frana e 110.000 m3 di scorie minerarie investono l’abitato, inghiottendo due case coloniche sul loro passaggio; 38.000 m3 seppelliscono la scuola: le vittime saranno 144, tra cui 116 bambini.

Il villaggio di Aberfan dopo lo smottamento della montagna di scorie n° 7, il 21 ottobre 1966
Il villaggio di Aberfan dopo lo smottamento della montagna di scorie n° 7, il 21 ottobre 1966

Com’è potuto succedere un tale disastro, ricordato anche nella prima stagione dell’eccellente serie “The Crown”? Si sarebbe potuto evitare?

La risposta è: forse sì, se fossero state rispettate le procedure imposte dallo stesso proprietario della miniera, il National Coal Board, che gestiva le attività minerarie nazionalizzate nel Regno Unito.

Infatti l’erezione di una montagna di scorie era fortemente sconsigliata sui terreni ricchi di sorgenti qual era, in parte, quello su cui sorgeva la n° 7. Ma le considerazioni sui costi avevano indotto ad ignorare le buone pratiche e ridotto al silenzio la coscienza di chi era incaricato di decidere.

Ma che cos’è un “terril”?

Per capire bene occorre sapere che cos’è una montagnola di scorie, il «terril»: per molti è soltanto un nome attribuito a una specie di collina, generalmente conica, di cui si sa appena che fa parte del paesaggio minerario. La realtà è un po’ più complessa.

Panorama minerario
Panorama minerario

Incominciamo dalla miniera

Bisogna innanzi tutto avere un’idea di come funziona una miniera, vale a dire un giacimento di materiali, in particolare di carbone, oggetto di attività di estrazione. Se il giacimento è poco profondo e orizzontale, l’estrazione avverrà a a cielo aperto (come in una cava, che si differenzia da questo tipo di miniera soltanto per la natura del materiale estratto); se invece si trova in profondità come nel caso del carbone occorre scavare dei pozzi e delle gallerie prima di estrarre il primo pezzo.

Il sottosuolo contiene grandi quantità di acqua ed occorre pertanto installare delle pompe per evacuarla in superficie ed evitare l’allagamento delle gallerie in cui lavorano i minatori. Bisogna anche sbarazzarsi dei materiali estratti per effettuare gli scavi. Dopo l’estrazione vera e propria il carbone, più o meno mescolato a terra e pietre, viene caricato sui vagonetti per essere portato in superficie.

Attività sotterranea e attività in superficie

Tutti conoscono il lavoro che si fa in fondo alla miniera e i pericoli legati ai crolli, al grisou, al pulviscolo di carbone, alle inondazioni – pochi invece sanno che cosa avviene in superficie.

La risalita del materiale estratto: la gabbia solleva i vagoncini fino al ponte in cui avviene la selezione: il carbone prosegue a sinistra, le pietre e gli altri detriti a destra
La risalita del materiale estratto: la gabbia solleva i vagoncini fino al ponte in cui avviene la selezione: il carbone prosegue a sinistra, le pietre e gli altri detriti a destra

Il materiale estratto, caricato su un vagocino (detto berlina o «skip») viene convogliato in superficie con un ascensore a gabbia, fino al livello di una sorta di ponte coperto in cui corrono dei binari. Lì è preso in consegna da un operaio, incaricato di separare i carichi di carbone da quelli di pietre ed altri residui. Il carbone viene convogliato in una direzione in cui lo attendono le operazioni che lo renderanno idoneo alla vendita: lavaggio e calibratura. Il resto va nella direzione opposta, verso un dispositivo che lo rovescia, facendolo cadere in vagoncini che, tirati da un cavo, lo faranno risalire fino alla sommità di una montagnola che, di carico in carico, diventerà quella cosa così caratteristica del paesaggio dei bacini carboniferi del nord: il terril.

I vagoncini che portano i residui al terril
I vagoncini che portano i residui al terril

Che aspetto ha un terril?

Nel caso descritto si tratterà di una montagnola conica, in cui lo sversamento avviene da un unico punto sulla cima. E’ caratteristica della prima metà del XX secolo, quando ha sostituito le montagnole piatte formate dalle scorie smaltite su superfici più ampie con mezzi più primitivi, che sono difficili da distinguere da altre colline naturali. I terril «moderni», dal canto loro, sono semplicemente un’evoluzione della montagnola conica, ossia massicci formati da diversi coni.

Vantaggi…

Queste colline artificiali, il cui nome francese deriva con ogni probabilità dal termine vallone «terri», o «téré» possono essere sterili (per esempio nel caso della montagnola di antimonio di Ouche, nella regione francese del Cantal) o presentare una grande varietà di piante, installatesi dopo la chiusura delle miniere. Alcune sono coperte di alberi da frutto nati dai semi e dai noccioli dei frutti che i minatori si portavano in fondo alla miniera, i cui resti venivano gettati nei vagoncini, o di acetosa, i cui semi si annidavano nelle fibre del legno di abete usato nelle gallerie. Su altre, come a Blégny nei pressi di Liegi, delle samare di betulla hanno colonizzato la montagnola, consolidando il terreno e preparandolo per altre specie autoctone, come il noce, l’acero, il frassino, il nocciolo, il sambuco o il biancospino, o alloctone come la robinia, la buddleia o il prunus serotina.

… e svantaggi

A volte i terril creano veri problemi ambientali, come nel caso dei “Monte Kali” tedeschi, detti anche “Kaliberg” o “Kalimangiaro”, enormi colline di sale (la più alta, di 250m, si trova a Philippsthal): formati essenzialmente di cloruro di sodio e metalli pesanti, il dilavamento dovuto alle acque pluviali provoca un serio eccesso di salinizzazione delle falde acquifere.

Montagna di sale, detta "Monte Kali" o "Kalimangiaro"
Montagna di sale, detta “Monte Kali” o “Kalimangiaro”

Quando la miniera è in attività, quindi, il terril è estremamente instabile e va monitorato con attenzione per evitare frane. Nel caso di Aberfam, il colpo di grazia a una situazione già compromessa (c’era già stata una colata che si era fermata a 150m dal paese un paio d’anni prima) è stato dato dal maltempo, che nella notte precedente il disastro aveva provocato una piccola frana della cima, con formazione di una sorta di cratere che si era riempito d’acqua, aumentando ulteriormente la pressione.

Oggi

Oggi tutte le miniere di carbone europee hanno chiuso (mentre sussistono miniere di ferro, rame, zinco, nichel, cromo, argento ed oro), ma i terril, spesso visitabili, fanno ancora parte del paesaggio del Belgio, della Francia e della Germania, dove il loro profilo triangolare è chiaramente distinguibile sulla linea piana dell’orizzonte.

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Arance e carnevali

Il carnevale di Binche: storia o leggenda?

Nel 1549 l’imperatore Carlo V prevede di cedere le sue terre dei Paesi Bassi austriaci al figlio Filippo. Contrariamente al padre il giovane principe è nato e cresciuto in Spagna, uscendo dalle sue frontiere soltanto l’anno precedente, per recarsi a Milano, ducato di cui Carlo l’ha investito. Da lì raggiunge poi le XVII Province, ossia le terre della sua bisnonna Maria di Borgogna, dove Margherita, sorella di suo nonno Massimiliano d’Asburgo, ha cresciuto suo padre insieme al fratello ed alle sorelle.

Maria d'Ungheria

Carlo V sa che non sarà facile far accettare il suo erede ai fiamminghi, visto che non lo conoscono e che non parla bene la loro lingua. Decide quindi di accompagnarlo a Bruxelles e chiede alla sorella Maria d’Ungheria di ideare una strategia che permetta di metterlo in buona luce.

Maria d’Asburgo, regina d’Ungheria in virtù del suo breve matrimonio con Luigi II Jagellone è, secondo il fratello, una donna orgogliosa, di intelligenza pronta, diretta, esuberante. I suoi contemporanei ne apprezzano le capacità politiche e militari, l’amore per le arti e le sue disposizioni diplomatiche. Pur essendo una cattolica fervente è incline alla tolleranza, tanto che al momento di subentrare alla prozia Margherita nelle funzioni di reggente dei Paesi Bassi le impongono di separarsi dalla sua corte troppo riformista.

In quell’estate del 1549 si presenta a Carlo un cavaliere errante, latore di un invito a recarsi a Binche – cittadina in cui Maria ha fatto costruire un castello e nelle cui vicinanze possiede un padiglione di caccia – per liberarla da un incantesimo imposto dal mago Norabroc.

In realtà Maria ha organizzato festeggiamenti sontuosi per presentare il nipote ai notabili ed ai magistrati della regione: giorni e giorni di tornei, giochi e balli mascherati, tanto magnifici che i Trionfi di Binche hanno dato origine al un modo di dire spagnolo: “Mas bravas que las fiestas de Bains” – più sontuosi delle feste di Binche.

Tre secoli dopo un giornalista, vedendo sfilare i Gilles di Binche che indossano i cappelli di piume di struzzo, crea la leggenda che li fa discendere dagli Incas che avrebbero sfilato in occasione dei Trionfi con un copricapo piumato.

Gilles mascherati

Ma chi sono questi Gilles?

Sono citati per la prima volta in testi del 1795, descritti come personaggi che si rivoltano contro il regime politico francese del Direttorio, che intende vietare di indossare maschere. Da allora sono diventati i personaggi più noti del Carnevale di Binche, classificato patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO.

Il loro successo è immediato e fa sì che i Gilles si moltiplichino in altri carnevali della regione, e che siano spesso invitati a partecipare a quelli di Bruxelles e di altre città. Tuttavia, nonostante quanto si dice in questo caso, non si tratta mai di Gilles di Binche, poiché questi non valicano mai i confini della città e non sono autorizzati ad indossare il caratteristico costume altro che il martedì grasso.

La cittadina di Binche prende il carnevale molto sul serio ed i Gilles ne sono soltanto l’elemento più visibile. La loro partecipazione è il risultato di un lungo lavoro di squadra in seno a una società. Tra l’altro, non è affatto facile impersonare un Gille: lo statuto è ferreo – il Gille dev’essere originario di Binche, impegnarsi a non indossare il costume in giorni diversi dal martedì grasso e a non uscire dai confini della città, non ubriacarsi, non sedersi mai e ad uscire soltanto accompagnato da un tamburino.

Nel tempo il costume si è trasformato: ai pantaloni e casacca originali si sono aggiunti gli zoccoli e l’ “apertintaille” (cintura con i campanellini), la maschera e lo stesso caratteristico cappello. I colori attuali sono quelli della bandiera belga, Stato costituito nel 1830. Il cesto metallico dei primi tempi, in cui tenevano pane e mele è stato sostituito nel 1880 con l’attuale cesto di vimini riempito di arance che il Gille getta agli spettatori durante il corteo del pomeriggio.

Gilles con il copricapo di piume di struzzo

La giornata dei Gilles

Prima che il corteo si muova il Gille di Binche ha già alle spalle una lunga giornata: in piedi dalle 4 del mattino, si affida all’imbottitore, che ha il compito di dare al personaggio l’apparenza di un gobbo come impone la tradizione, riempiendo il costume di paglia. Gli mettono poi sulle spalle la gorgiera e quindi indossa il berretto bianco e lo assicura con un fazzoletto bianco. Una volta vestito aspetta che arrivi la piccola banda che accompagna la «raccolta» . Quando tutti i Gilles si sono radunati, la tradizione impone loro di consumare una colazione a base di ostriche e champagne. Una volta terminato indossano le maschere di cera che li rendono tutti uguali e vanno nella piazza centrale, la Grand-Place, dove aspetteranno l’avvio del corteo alle 15. Se il tempo lo permette si metteranno in testa il copricapo piumato. Prendono i cesti con le arance (che porteranno rovesciati quando saranno vuoti, in attesa che vengano riempiti di nuovo) e si avviano con gli altri per le vie della città, lanciando frutti fino all’ora di cena; alle 20 ricominceranno il giro, questa volta senza copricapo, prima di tornare alla solita vita.

E altrove?

Le arance sanguinelle dei Gilles lasciano il posto ai frutti non commestibili degli aranci portainnesto alla «battaglia delle arance» del carnevale d’Ivrea, nell’Italia del nord-ovest .

Si tratta probabilmente del più antico carnevale italiano, visto che quelli più noti di Venezia e Viareggio hanno patito lunghe interruzioni o sono nati molto più tardi.

La battaglia delle arance al carnevale d'Ivrea

Le origini del carnevale d’Ivrea risalgono almeno al Rinascimento. Già nel Cinquecento i rioni della città gareggiavano in magnificenza con l’organizzazione delle loro feste, popolate da personaggi che paiono il contrario di ciò che sono nella vita vera: gli “Abbà”, vestiti come comandanti della milizia pronti a far rispettare l’ordine e la disciplina, mentre probabilmente sono degli scapestrati.

In epoca napoleonica le varie feste rionali sono riunite in una sola, cittadina, per contenere gli eccessi e controllare meglio la folla. Durante l’Ottocento, quando un po’ ovunque le popolazioni si sollevano contro i tiranni, si aggiungono nuovi personaggi: se Violetta, la “vezzosa mugnaia” rapita dal signore che vuol far uso dello jus primae noctis, che però riesce ad ucciderlo dopo averlo fatto ubriacare, viene presentata alla folla il sabato, fin dal giovedì grasso il Generale, incaricato dell’organizzazione e dell’ordine dei suoi ufficiali, il Sostituto del Gran Cancelliere, gli alfieri e le vivandiere partecipano al corteo storico a cavallo che costituisce, con la battaglia delle arance, l’attrazione principale della manifestazione.

Come a Binche, il carnevale non è limitato a pochi giorni: ufficialmente si apre il giorno dell’Epifania e si snocciola in una serie di eventi per tutta la sua durata. Ovviamente il più bello arriva alla fine, tra il corteo storico del giovedì grasso al rogo degli “scarli”. Chi non vuole servire da bersaglio per gli aranceri (ogni anno vengono medicate decine di botte, le arance sono dure…) deve indossare un berretto frigio, sorta di calzino rosso che raffigura l’adesione ideale alla rivolta e, pertanto, la brama di libertà.

Aranceri in assetto di battaglia

Per parecchi giorni la città risuona di musiche suonate dalla fanfara di pifferi e tamburi e dalla banda che, in testa al corteo, esegue la Canzone del Carnevale e varie opere sette-ottocentesche. E’ questa banda, tra l’altro, ad annunciare la fine del Carnevale, quando, dopo aver eseguito la Marcia del Generale saluta tutti con “Arvëdse”, arrivederci.

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I sassoni della Romania e le loro chiese fortificate

Siamo nel XII secolo. Dopo secoli di invasioni barbariche l’Europa cerca di darsi un assetto definitivo e di raggiungere una certa stabilità politica ed economica. Per difendere le sue frontiere dalle ultime frange di assalitori mongoli e tartari il giovane re d’Ungheria Géza II offre, nella Transilvania meridionale, terre e privilegi a quelli che l’amministrazione ungherese registrerà successivamente come “sassoni”.

Questi sassoni della Transilvania non sono originari della Sassonia – così come gli “Svevi” del Banato non provengono dalla Svevia. Da dove siano partiti di preciso non si sa, ma si tratta probabilmente di aree comprese tra il Reno e la Franconia, dalla regione della Mosella, dalla Vallonia e dalle Fiandre. Attratti dai vantaggi offerti dalla colonizzazione i primi sassoni – che seguono a ruota i siculi di lingua ungherese – s’insediano nelle profondità carpatiche, nella pianura del Cibin, sulle cui rive costruiscono la città di Hermannstadt (Sibiu), destinata a rimanere esclusivamente tedesca fino alla metà dell’Ottocento. Ai primi coloni seguirono altre ondate nei secoli successivi, fino ad occupare gran parte della Transilvania.

Sibiu Herrmanstadt
Sibiu/Hermannstadt

“I nostri fedeli coloni tedeschi”, come li definisce nel 1224 l’Andreanum (“litterae libertatis aureae”) del re Andrea II d’Ungheria il Gerosolimitano, godono tra le altre cose della libertà di nominare i loro giudici ed i loro preti, di seguire i loro usi e costumi, applicano una franchigia doganale ed organizzano liberamente i loro mercati e le loro fiere. In cambio si impegnano a pagare un tributo annuale al re ed a fornirgli un certo numero di soldati.

Per difendersi dagli attacchi del nemico incominciano a fortificare le loro chiese. Queste cittadelle sono oggi recensite nel patrimonio mondiale dell’UNESCO ed attraggono ogni anno un gran numero di visitatori.

Biertan Birthälm
Biertan/Birthälm

A partire dal 1486 l’amministrazione e la Giustizia sono in mano a un organismo centrale: la “Nationsuniversität o Università Sassone, di cui fanno parte le sette “Sedi” tradizionali della nazione: Broos (Orastie), Mühlbach (Sebes), Reussmarkt (Miercurea Sibiului), Leschkirch (Nocrich), Hermannstadt (Sibiu), Schenk (Cincu), Schässburg (Sighisoara) e Reps (Rupea), cui si aggiungono più tardi Mediasch (Medias) e Schelk (Seica Mare) oltre ai distretti Nösnerland (Nasaud) e Burzenland (Barsa). Une grande attention est donnée à l’instruction: les premières écoles naissent au XVe Siècle et en une centaine d’années pratiquement toutes les villes et villages en ont une. Le premier lycée voit le jour en 1541 et deux siècles plus tard l’école devient obligatoire.

Nonostante le guerre e gli eventi politici i sassoni della Transilvania riescono a mantenere la loro indipendenza fino alla nascita dell’impero austroungarico, nel  1867. A partire da quel momento l’Università Sassone viene progressivamente svuotata della sua importanza fino alla sua definitiva abolizione, negli anni Trenta del Novecento, ossia pochi anni dopo l’adesione della Transilvania alla Romania come conseguenza dello smantellamento dell’impero alla fine della prima Guerra Mondiale.

Klaus Iohannis

Nella nuova patria rumena i sassoni della Transilvania devono ormai negoziare con uno Stato centrale in cui sono fortemente minoritari, che pretende che imparino la lingua parlata dalla maggioranza ed applica un numero chiuso che limita l’accesso agli studi superiori. La storia d’amore con la terra che li ha accolti otto secoli prima si avvia alla conclusione, il regime comunista le darà il colpo di grazia: degli oltre 750.000 tedeschi della Romania prima del 1939 ne sussistono a malapena 80-90.000, equamente suddivisi tra sassoni della Transilvania e svevi del Banato. Gli altri sono “ritornati” in Germania, fatto che fa dire agli storici che la civiltà tedesca della Romania è l’unica nella Storia che sia riuscita ad autodistruggersi volontariamente.

Nel paese rimangono le vestigia del loro passato successo. Le scuole tedesche che avevano fondato continuano ad esistere e sono considerate tra le migliori, sebbene ormai gli allievi siano quasi tutti rumeni, così come gli insegnanti. Klaus Iohannis, recentemente investito del suo secondo mandato alla presidenza del paese dopo essere stato sindaco di Sibiu – tre volte rieletto con preferenze davvero plebiscitarie – è sassone e la sua città, in cui i sassoni sono ormai soltanto più l’1%, è oggi guidata dalla sua vicesindaca, parimenti sassone.

Attraversando le città della Transilvania si possono osservare molte belle case che raccontano dei sassoni che hanno fatto fortuna nel corso dei secoli. Più ancora si notano le chiese fortificate, edificate nelle città ed in molti villaggi per proteggere la popolazione dagli invasori. Circondate da una cinta muraria semplice, doppia o tripla, servivano da rifugio per gli uomini, gli animali ed i loro beni.

Cisnadie Heltau
Cisnadie/Heltau

Alcune, come quella di Stolzenburg/Slimnic, erette nell’imminenza di un pericolo, sono rimaste allo stato di semplice cittadella poiché la chiesa, che non era urgente, non è mai stata costruita.

Fino al 1867 una delle sue torri ospitava la “stanza dei divorzi”. Come funzionava? Ebbene, la coppia che intendeva separarsi si recava insieme dal pastore, che accondiscendeva a condizione che i coniugi si facessero rinchiudere per tre giorni e tre notti nell’apposita stanza. Essi vi trovavano un letto, una sedia, un piatto e una posata. C’è da ritenere che la tattica fosse vincente visto che, obbligata a trovare un’intesa, in 200 anni la maggior parte delle coppie ha finito col rinunciare all’idea ed i divorzi registrati sono stati solo tre.

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Mărțișor

Un giorno arrivò sulla Terra una bellissima giovane. Era la stella chiamata Sole, scesa dal cielo per vedere da vicino il pianeta che viveva della sua luce.

Il sole fa capolino tra gli alberi del bosco

In cammino incontrò uccelli che cantavano, bambini che giocavano ridendo, persone felici. Ma all’improvviso incrociò uno Zmeu.

Bisogna sapere che lo Zmeu è un personaggio malefico dalle sembianze umane ma dall’animo diabolico che possiede poteri soprannaturali.

Come vide questa bellezza il cattivo decise che doveva tenerla per sé, e soltanto per sé. Quindi si affrettò a rapirla e la portò nel suo palazzo. Lì la nascose.

Palazzo in rovina

Senza il Sole gli uccelli smisero di cantare, i bambino dimenticarono i giochi ed il riso, e nelle strade non si vide più che gente afflitta, triste ed infelice.

L’unica reazione venne da un giovane, che prese la spada ed andò a sfidare lo Zmeu. Quest’ultimo accettò di battersi in duello, sghignazzando, perché era certo che si sarebbe mangiato il giovane sconsiderato in un boccone.

Con sua grande sorpresa non fu così: la lotta ebbe per lui un esito fatale. Cadde e morì, ma prima riuscì a ferire mortalmente il giovane, che con le ultime forze riuscì a liberare il Sole, prima di stramazzare al suolo in mezzo alla neve.

Il Sole si affrettò a ritornare in cielo ed illuminò nuovamente la Terra. Gli uccelli ripresero a cantare, i bambini a giocare e ridere, la gente ritrovò la felicità.

Soltanto una persona non poté rallegrarsi della conclusione della storia: il giovane infatti si accasciò nella neve ed il suo sangue scorse su di essa formando lunghi rivoli rossi.

Poi la neve si sciolse e gli uomini vennero a cercarlo, ma trovarono soltanto un campo di bianchissimi bucaneve macchiati di sangue.

Bucaneve

Poiché non erano riusciti a salvarlo, gli uomini decisero allora di celebrarne la memoria regalandosi l’un l’altro dei fiori bianchi come la neve e rossi come il sangue, ogni anno allo scioglimento delle nevi.

Insieme ad altre, questa leggenda è all’origine del mărțișor, un piccolo portafortuna sospeso ad un cordoncino bianco e rosso che Rumeni e Bulgari – entrambi eredi dei Daco-Traci – regalano alla famiglia e agli amici il 1° marzo per festeggiare il prossimo arrivo della primavera.

I Bulgari, che lo chiamano martiniza, fanno risalire l’usanza all’epoca del loto primo “hannat”, embrione di Stato insediato sulle rive del Danubio nel VII secolo D.C. Gli archeologi, però, ritengono che possa trattarsi di un uso ben più antico, poiché in alcune sepolture dei Traci vecchie di 8000 anni hanno rinvenuto dei piccoli oggetti che fanno pensare ai mărțișor – per lo più monete legate da cordini.

Il mărțișor ricevuto era subito legato al ramo di un melo, dove restava finché i fiori non si schiudevano. In tempi più recenti si prese l’abitudine di tenerlo appuntato sul petto per tutto il mese di marzo.

Oggigiorno, pur se internet ed email sottraggono molto alla poesia legata a questa piccola testimonianza di amicizia e di affetto (in effetti è piuttosto difficile appuntarsi sul bavero l’allegato di una email!), sono ancora in molti (e soprattutto molte) ad esibire fieramente un mărțișor sulla giacca o a metterlo in bella mostra nella loro casa.

E’ un piccolo portafortuna che ha ancora un bel futuro davanti.

Martisor, piccolo portafortuna offerto all'arrivo della primavera

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La camicetta rumena

Parigi, 1892. Nello studio di Gustave Moreau un pittore rumeno, il ventunenne Theodor Pallady, incontra un giovane collega francese poco più vecchio di lui: Henri Matisse. E’ l’inizio di un’amicizia grande e solida che li unirà per tutta la vita.

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Il Romanzo della Rosa

Nella soap-opera ante litteram della mitologia (Dallas, Beautiful, andatevi a nascondere…) Venere, dea della bellezza e dell’amore (mica per niente!) e suo figlio Cupido occupano certamente un ruolo di primo piano. Tra le varie leggende che li riguardano vale la pena di ricordarne due.

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Kaldi, le capre e il caffè

Le capre, si sa, si arrampicano volentieri sugli alberi come gli scoiattoli, salvo che gli alberi delle capre sono meno alti di quelli degli scoiattoli, che le capre in realtà preferiscono pascolare sui pascoli delle mucche e che si fanno arrampicatrici soltanto quando le mucche hanno spazzolato tutto, cosa che succede assai raramente. Oppure quando le mucche non ci sono perché sui loro pascoli non c’è niente da mangiare e preferiscono quelli verdi della Toscana o del Limousin  al deserto dell’Arabia felix. Ne consegue che le capre si arrampicano sugli alberi più che altro nelle zone desertiche.

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George Enescu e la sua musa

Dalla corda tesa al Guarneri del Gesù

 

Alla festa del paese il piccolo George, affascinato, ammira i musicisti di strada: è la prima volta che sente suonare musica e ne è completamente rapito.

Quando torna a casa tende una corda su un’assicella e prova a cavarne delle note. Poiché la passione dura i genitori finiscono per regalargli un violino. Ma è un giocattolo e George, deluso e arrabbiato, lo scaraventa per terra e lo rompe.

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Zingari, ancora

All’inizio degli anni Novanta Victoria, una delle figlie di Charlie Chaplin, trovò una lettera nel cassetto di un mobile che era appartenuto a suo padre e che aveva ereditato dopo la scomparsa di sua madre,  Oona O’Neill. Un tal Jack Hill scriveva all’attore che era nato “in un carro [che] appartiene alla Regina degli Zingari, che era mia zia. Sei nato a Black Patch, Smethwick, nei pressi di Birmingham”.

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Perché mai le Chiese occidentali ed orientali celebrano la Pasqua in date diverse?

 

Quest’anno la Pasqua ortodossa cade l’8 aprile, una settimana dopo quella cattolica e protestante. Perché?

E’ una storia complessa.

Innanzi tutti bisogna comprendere che cos’è la Pasqua.